ALBANIA: Quando gli albanesi salvarono gli ebrei dal nazismo. Una mostra a Reggio Emilia

“Mio padre diceva che i tedeschi avrebbero dovuto sterminare la sua famiglia, prima che lui permettesse loro di uccidere gli ebrei ospiti a casa nostra”. Sono parole splendide, di coraggio e umanità, che colpiscono ancora di più se si conosce il luogo e il tempo in cui sono state pronunciata. Albania, 1943, nel cuore della seconda guerra mondiale. E sono parole che raccontano al meglio lo spirito di “BESA – Un codice d’onore: Albanesi musulmani che salvarono ebrei ai tempi della Shoah”, una mostra fotografica curata per l’Italia da Istoreco, l’istituto storico di Reggio Emilia. “BESA” si basa sulle foto scattate da Norman H. Gershmaned è realizzata dallo Yad Vashem di Gerusalemme, il famoso istituto israeliano per la ricerca e la commemorazione delle vittime della Shoah che – fra gli altri incarichi – ha il compito di nominare i Giusti fra le Nazioni, donne ed uomini di origine non giudaica che durante la guerra salvarono degli ebrei. Fra questi, ad oggi, vi sono 69 albanesi.

Al centro della mostra, una storia tanto affascinante quanto poco nota, quella appunto di tanti albanesi musulmani che durante il conflitto salvarono la vita a persone di origini ebraiche, profughe o abitanti in Albania, tutte inseguite dai nazisti. Il piccolo paese balcanico è una piacevolissima eccezione, per l’Europa degli anni ’40: al termine della guerra vi erano in Albania più ebrei che all’inizio del conflitto, perché tante famiglie musulmane per anni protessero questi fuggitivi. Una bella eccezione ed un sonoro schiaffo in faccia ai tanti pregiudizi che in questi decenni si sono sedimentati attorno agli albanesi.

Istoreco ha deciso di portare BESA in Italia per favorire il dialogo e ricordare questi straordinari e rischiosi esempi di solidarietà. La prima nazionale si è tenuta a Reggio Emilia all’inizio del 2013, con una doppia sede quanto mai simbolica. BESA, infatti, è stata ospitata prima dalla vecchia sinagoga cittadina e poi all’interno di una moschea reggiana, coinvolgendo fortemente entrambe le comunità.

Oggi la mostra è a disposizione di tutte le realtà interessate. Per conoscere le informazioni sull’eventuale noleggio, è possibile scrivere a [email protected].

Ma prima, è bene conoscere questa storia, praticamente sconosciuta, che va contro a pregiudizi e visioni artefatte sull’odio religioso.

BESA mostra con immagini e parole i testimoni diretti della solidarietà dell’Albania della guerra, concentrandosi su chi allora era bambino e oggi può raccontare quanto accaduto. A partire dai numeri. Nel 1933 l’Albania contava 803mila abitanti, fra cui solamente 200 ebrei.Ma quasi duemila profughi arrivarono dalla Germania dopo il 1933 e l’arrivo di Hitler al potere, ed altre migliaia vi cercarono rifugio dopo il conflitto. Nel 1943, quando il paese è stato occupato dai nazisti e comprende porzioni di territorio montenegrino, kosovaro e macedone, arriva un gesto di enorme coraggio. La popolazione albanese si rifiuta di obbedire all’ordine degli occupanti di consegnare le liste degli ebrei che risiedono entro i confini nazionali. Inoltre varie agenzie governative forniscono a molte famiglie ebree documenti falsi, con cui mischiarsi nel resto della comunità, senza far distinzione fra ebrei “albanesi” e profughi.

Alla base, un fortissimo obbligo morale, BESA, un codice d’onore ancora oggi ritenuto il più elevato codice etico dell’Albania. “Besa” significa letteralmente “mantenere una promessa”:colui che agisce secondo il “Besa” è una persona che mantiene la parola data, qualcuno a cui si può affidare la propria vita e quella dei propri cari.

L’Albania, un paese europeo a maggioranza musulmana, ha successo dove altre nazioni europee falliscono. Tutti gli ebrei residenti in Albania durante l’occupazione tedesca, sia quelli di origine locale, sia quelli provenienti dall’estero, si salvano ad esclusione di una sola famiglia. Nel paese ci sono più ebrei alla fine della guerra che prima del suo inizio.

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